“die Strom.”, un cortometraggio creato dall’architetto Guido Mitidieri, allievo del master della Prof.ssa Testoni.
La pulce non è l’elefante, tuttavia sono entrambi animali.
La nostra cultura, che pure ha orrore del niente e si impegna costantemente nella pur nobile impresa di salvare il mondo dal suo annientamento, pensa nel proprio inconscio che le cose sono di per sé niente e avverte costantemente la minaccia che il niente esercita sul proprio vivere. (E. Severino)
In questa luce i grandi padroni e i grandi servi della nostra cultura abitano la stessa dimensione, la dimensione del die Strom, della corrente che passa e trascina con sé gli eventi. In questo ventre si approntano rimedi, si allestiscono liste (il dio, il caos, la tecnica) con cui dar senso a quell’assolutamente insensato ed imprevedibile prodursi e disfarsi delle cose. Si tratta allora di pensare a una dimensione in cui si prende coscienza della follia della fede originaria che anima l’intera storia dell’occidente per andare verso un senso dell’eterno del tutto diverso da quello dei vecchi padroni eterni.
Intervista all’architetto Guido Mitidieri in merito al cortometraggio “Die Strom.”
Domanda 1:
Da dove è nata l’idea di creare questo cortometraggio?
Risposta:
Vorrei per prima cosa ringraziare il Master in Death Studies and the End of Life, la professoressa Testoni e il suo gruppo di lavoro per l’interesse verso la mia attività e la gentilezza di questa intervista. Per rispondere, posso cominciare a dire che quando abbiamo a che fare con le immagini, e con le immagini in movimento come accade con l’immagine cinematografica, tendiamo a farci trascinare via dall’incalzare delle sequenze perdendo di vista una distinzione fondamentale. Mi riferisco alla distinzione tra il contenuto dell’immagine e la forma con cui tale contenuto viene espresso nella sua immediatezza. Il cortometraggio “Die strom.” si inserisce io credo a pieno titolo nel complesso della mia produzione artistica, se si fa presente quell’elemento della “linea”, che è una figura visiva e concettuale con la quale sintetizzo la volontà dell’uomo di dare un senso alla realtà. Il film mette una accanto all’altra due grandi esperienze del nostro recente e comune passato, la grande tradizione giudaico cristiana e l’evento del nazional socialismo. Con tutto il rispetto e il tatto che dobbiamo avere per quel tragico fenomeno quale è stato l’olocausto, ma senza nascondersi, il film prospetta un tratto che è comune ad entrambi i protagonisti di questa triste vicenda, rappresentato dalla lista. Vedo la lista come il corrispettivo della linea, cioè dello strumento servendosi del quale si vuole prevedere il divenire (il tempo, la storia) attraverso il tentativo di contrassegnare l’esperienza per adeguarla ad un senso che ne renda tollerabile
la manifestazione.
Domanda 2:
Come si collegano le parole di Severino a questo video?
Risposta:
A noi preme, fin qui, di portare alla luce questo: che sullo sfondo del grande scontro per la primazia tra queste due grandi divinità, come quella della tradizione giudaico cristiana e quella del nazional socialismo, c’è una fede che è comune ad entrambi. Questo tratto è potentemente considerato dalla riflessione del prof. Severino come la persuasione che il concreto manifestarsi delle cose nell’esperienza sia un incominciare ad essere che proviene dal suo nulla e che dopo poco, torna nel suo nulla. Lo strumento è la teoria con cui l’uomo esercita la volontà di salvezza da questo, per lui inevitabile, movimento. Oggi sentiamo continuamente ripetuto sui giornali o sulle televisioni un luogo comune che recita più o meno così “Lo strumento è di per sé neutrale, dipende dalla libertà dell’uomo di servirsene per fare il bene o per fare il male. Chi lo usa male non è che renda cattiva la tecnica, è un cattivo uso di qualche cosa che di per sé è innocuo”. Questi motivetti, contribuiscono a rendere pericoloso il rapporto con la tecnica. Queste prospettive tengono troppo conto di un ulteriore meccanismo che la riflessione del prof. Severino contribuisce a portare all’attenzione che è il rapporto mezzo-fine. In poche parole, si dice che lo strumento, del quale l’uomo agente si serve per realizzare il suo scopo di salvarsi, non è come si crede, neutro, ma ha in sé uno scopo che è quello di potenziare all’infinito la propria capacità di realizzare scopi.
Domanda 3:
Cosa si aspetta che comprenda il pubblico guardando questo video?
Risposta:
Rispetto a quanto dicevamo prima, il film insiste da una parte sulla comunanza tra due apparentemente lontanissimi atteggiamenti, e dall’altro sulle esito che la volontà di salvezza raggiunge nel suo sviluppo storico. Se prendiamo per buona l’equazione salvezza=potenza il film porta alla luce questo tratto: il tessuto intricatissimo di linee ferroviarie e di linee elettriche, la sequenza dei tasti che il pianista percorre avanti e indietro in una infinita danza di creazione e distruzione, le lunghe colonne di fedeli nelle processioni religiosi, i pescatori allineati per tirare su le reti, le lunghe linee di robot che costruiscono automobili, fino alla yad (la mano) che viene fatta scorrere sul testo sacro della Torah. Quando gli uomini gridano alla morte “No, tu non ci sei!” e approntano rimedi per salvarsi, gridano all’essere “No, tu non ci sei!” e finiscono con imbarcarsi in infinite linee che li portino oltre il soggetto verso la “cosa in sé”. Il titolo del film “die strom.” che in tedesco vuol dire “la corrente” è stato scelte per indicare questo infiniti ammasso di dati in cui consiste l’esperienza, interpretati dall’Occidente come un costante divenire altro da sè, come un prodursi di se stesso dal suo non essere. Ci si può incamminare in un percorso di salvezza dell’ “altro” solo se prima gli si è steso un abisso sotto i piedi.
Domanda 4:
Essendo lei artista ambientale, architetto, filosofo, tanatologo e adesso regista come si inserisce questo cortometraggio nei suoi campi di studio e di interesse?
Risposta:
Mi viene in mente un passo della Metafisica libro I di Aristotele in cui si dice: “[…] Ciò nonostante, però, riteniamo che il sapere [eidénai] e l’intendere siano propri più della tecnica che dell’esperienza e supponiamo più esperti i tecnici degli empirici, convinti come siamo che, in ogni caso, la filosofia si accompagni al sapere. E ciò perché gli uni sanno la causa, gli altri no. Gli empirici, infatti, sanno [solo] il che, ma non sanno il perché; gli altri, invece, conoscono il perché e la causa. E anche per questa ragione noi riteniamo che gli architetti siano più degni di rispetto, abbiano maggior sapere e siano più esperti dei semplici [981 b] manovali, perché sanno le cause di ciò che fanno, mentre i manovali agiscono ma senza sapere quel che fanno, proprio come certi essere inanimati, per esempio come fa il fuoco quando brucia. […]”. Se oggi io andassi a dire ad un manovale di non fare quel che sta facendo perché lui non sa le cause di ciò che fa, mentre io in quanto architetto sono degno di rispetto perché ho contemplato il vero senso del mondo, credo che rischierei come minimo un gesto di stizza. Ad oggi prevale una consapevolezza diversa, che lentamente si porta dinanzi questo contenuto, e cioè che l’uomo fa ciò che fa, qualsiasi cosa essa sia, dalla più alta e gentile, fino alla più volgare e stupida, perché per vivere deve credere nel far diventare altro di se stesso e delle cose. In questo senso ogni fare ha il sapore di una meditatio mortis, di una mediazione cioè di un suo allontanamento secondo una liturgia pagana che riconosce il proprio salvatore nei mezzi con cui organizzare la corrente.
Domanda 5:
Quale è il prossimo progetto a cui sta lavorando?
Risposta:
Mi sto dedicando alla realizzazione di un grande progetto a lungo termine che sarà portato a compimento mi auguro nel 2027. Si tratta della produzione di un ciclo di 200 opere, interamente realizzate a mano attraverso l’uso della penna bic e la ripetizione di semplici gesti automatici. In parallelo mi sto dedicando ad un progetto di interventi di rigenerazione urbana site-specific nei quali metto in scena la mia attività e la mia presenza di artista in ambiti urbani dove solitamente l’arte non è di casa, per manifestarne l’intrinseca antinomia.
Sito internet: https://guidomitidieri.com/
Manifesto visivo: https://www.youtube.com/watch?v=122c8VNfY0A&t=23s