Documento prodotto da un gruppo ristretto di partecipanti al Congresso internazionale DDD-16 “Learning from suffering and Dying”:
Franca Benini, Guidalberto Bormolini, Andrea Bovero, Simona Cacace, Ciro De Vincenzo, Santo Di Nuovo, Vincenzo Durante, Lea Ferrari, Enrico Furlan, Gino Gobber, Cristina Marogna, Elena Pariotti, Mariassunta Piccinni, Egidio Robusto, Anna Santini, Teresa Maria Sgaramella, Ines Testoni, Marco Tineri, Felice Damiano Torricelli, Roberta Vecchi, Alberto Voci.
Referente: Ines Testoni ines.testoni@unipd.it
Elenco Acronimi:
Cure Palliative (CP)
Cure Palliative Pediatriche (CPP)
European Association of Palliative Care (EAPC)
International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC)
Learning from suffering and Dying (DDD-16)
Aiuto Medico a Morire (AMM)
Piano/Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC)
Società Italiana di Cure Palliative (SICP), della Federazione Cure Palliative (FCP)
Team di Cure Palliative (TCP)
World Health organization (WHO)
Background: Il documento “Esigenza di una Formazione specifica per l’Acquisizione di Competenze Relazionali in contesti di vulnerabilità, nelle decisioni terapeutiche condivise e nelle cure palliative” (EFACR) nasce come esito di una riflessione avvenuta durante il congresso internazionale “Learning from suffering and dying”, caratterizzato da una marcata interdisciplinarità. Studiosi, specialisti e ricercatori di diversi ambiti interessati al tema del morire si sono confrontati su diversi aspetti della sofferenza che la morte comporta e sulle strategie sociali volte a supportare tale condizione ineludibile rispetto alla quale tutti e ognuno sono prima o poi chiamati a confrontarsi. Dalla discussione è emersa la consapevolezza che, sebbene molte professioni siano specializzate in tal senso, di fatto è ancora molto carente la competenza di base relativa alla dimensione più squisitamente relazionale, la quale richiede l’acquisizione di saperi che attraversano ambiti monto complessi dell’area che gravita sul perno individuo-società. EFACR intende dunque invitare i professionisti implicati nella relazione con chi si trovi in condizioni di fragilità che comportano a qualche titolo la morte a creare spazi di formazione appositi, di carattere esperienziale e formativo in senso stretto, interamente centrati sul costrutto di capacità (skill) relazionale.
Il congresso Learning from suffering and Dying (DDD-16)[1] ha affrontato il tema della costruzione della conoscenza nelle situazioni in cui si debbano fronteggiare la perdita e il morire. La sofferenza, infatti, per un verso dipende dalla cognizione che si ha del dolore e della morte, mentre per l’altro impone che vengano considerate le cause che la determinano, al fine di poterne limitare l’impatto sulla qualità della vita. Tra i fattori che possono esacerbare o alleviare la negatività del doversi misurare con i limiti della finitudine, emerge per rilevanza la dimensione relazionale. La solitudine, il senso di isolamento e di incomprensione, la componente fisica (sintomi e dolore) di chi combatte contro una malattia letale e/o cronico-degenerativa caratterizzano la percezione di abbandono acuendo il vissuto di disperazione che spesso si accompagna al desiderio di anticipare la dipartita. Il contrasto a tale esito è possibile a partire dalla “presa a cuore” di chi rischia di incorrervi da parte dei professionisti della salute e del servizio sociale. Nel campo specifico delle Cure Palliative (CP) è già stata messa in luce l’importanza delle competenze relazionali che devono essere acquisite dai componenti del Team di CP (TCP), rispetto al loro rapporto con i pazienti e con i familiari[2].
Come dichiarato dalla legge 38/2010, in accordo con le espressioni della World Health organization (WHO), dell’International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC), della European Association Of Palliative Care (EAPC) e, in Italia, della Società Italiana di Cure Palliative (SICP), della Federazione Cure Palliative (FCP) e del Gruppo Tematico Psicologia Palliativa dell’AIP, le CP affermano il valore della vita fino alla sua conclusione e considerando la morte come un evento naturale, né prolungano né riducono il tempo di vita. Il loro obiettivo fondamentale è quello di intervenire per lenire il “dolore totale” del paziente (fisico, psicologico, sociale e spirituale)[3] e tale supporto deve essere garantito a tutti coloro che si trovano in uno stato di significativa fragilità indipendentemente dalla prognosi[4]. Le CP provvedono dunque al sollievo del dolore fisico, della sofferenza psicologica, esistenziale e spirituale attraverso un sistema di supporto per il paziente e per i suoi congiunti, permettendo loro di convivere con la malattia e di elaborare il senso di perdita.
In Italia le CP sono state rese definitivamente possibili su tutto il territorio nazionale dalla legge 38/2010[5], la quale garantisce che venga rispettato il diritto del paziente di: essere riconosciuto come persona nell’intero ciclo della vita e in particolare negli stati di estrema fragilità; poter ricevere continua assistenza e cure adeguate nel luogo desiderato; ottenere sollievo dal dolore e dalla sofferenza psicologica, esistenziale e spirituale. Questa legge è sostanzialmente orientata alla valorizzazione della “dignità” del malato – costrutto che esprime il valore del rispetto che l’individuo nutre per sé stesso e che si rispecchia nei comportamenti di chi si relaziona a lui. Si tratta di un asse giuridico portante, promosso dai Diritti Umani Universali, che non prescinde dalla dimensione psico-relazionale, in quanto qualsiasi atteggiamento deumanizzante e/o coercitivo che limiti le possibilità di sentirsi padroni di sé anche nelle condizioni di estrema fragilità ne compromette il potere di resilienza.
La successiva legge 219/2017[6], pensata per garantire questo livello basilare di riconoscimento interpersonale (“è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia”, esordisce il comma 2° dell’art. 1 della legge), sancisce definitivamente il diritto dell’individuo di: essere sempre correttamente informato sul proprio stato di salute; poter decidere e riformulare decisioni riguardo alle terapie; non subire interventi che riducano la qualità della sua vita o prolunghino artificialmente i processi del morire. Nel prescrivere che venga rispettata la volontà della persona e le sue disposizioni, le sue esigenze psicologiche, relazionali, spirituali e ideali in ogni contesto di cura, essa introduce altresì una novità significativa, nella direzione del rispetto della dignità individuale. Si tratta della possibilità di condividere e negoziare le forme da dare al percorso terapeutico e di sostegno.
La Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC) promossa dalla legge 219/17 prevede infatti l’instaurarsi di una relazione di cura e di fiducia tra pazienti e caregivers professionali (formali) e familiari e amicali (informali). Tale dispositivo garantisce al paziente la possibilità di coltivare la speranza ed esprimere in riservatezza e libertà i propri vissuti e le emozioni, disponendo di tempi e spazi per una comunicazione autentica che gli permetta di svolgere il proprio ultimo compito evolutivo[7], con i propri cari, con chi si prende cura di lui e con il TCP, come attore principale delle scelte terapeutiche. Questo implica che il TCP, essendo portatore di una competenza professionale specifica, sia in grado di procedere con pazienti e familiari progressivamente nella presentazione degli interventi possibili e disponibili, predisponendo un contesto relazionale accogliente e tutelante, in cui sia possibile elaborare l’angoscia che il terrore della morte inevitabilmente suscita. L’approccio adottato dalle CP e nello specifico dalla PCC destituisce definitivamente anche in Italia il paternalismo medico, che presupponeva la possibilità da parte dei professionisti della salute di prendere decisioni terapeutiche all’insaputa dei pazienti[8]. Nella PCC il confronto è portato alla parità, ovvero tra pazienti, componenti del TCP e familiari e/o caregiver non si dà gerarchia, affinché tutti gli attori che possono influenzare l’esito decisionale siano coinvolti nelle scelte, le quali però, per quanto partecipate, rispettano sempre e comunque le volontà del malato.
Quando le CP siano applicate secondo il modello del simultaneous care, come auspicato dalla WHO[9], il PCC riguarda ogni fase della malattia potenzialmente infausta. Si tratta quindi di un processo relazionale decisionale che comincia dalla comunicazione di diagnosi/prognosi e procede senza soluzione di continuità con le scelte che riguardano qualsiasi intervento sul paziente, fino al suo eventuale trapasso, causato dalla malattia. L’obiettivo della PCC è quello di consentire ai pazienti (in qualsiasi momento della loro vita, quindi anche durante l’infanzia e l’adolescenza, in età molto avanzata, nel fine-vita e/o in stato di disabilità sia fisico che cognitivo), di prendere consapevolmente decisioni terapeutiche coerenti con i propri desideri e le proprie aspirazioni. Tale processo richiede per un verso la disponibilità del malato a partecipare a questo tipo di relazione/comunicazione e per l’altro verso la capacità da parte del TCP di saperlo coinvolgere (engagement)[10]: mettendosi al suo livello cognitivo e affettivo; sostenendo psicologicamente sia lui sia i familiari nell’affrontare le informazioni di carattere diagnostico, prognostico e terapeutico reali; prevenendo la dissoluzione della speranza autentica, la quale non può essere mai confusa con l’illusione e trova nella dimensione esistenziale/spirituale il proprio più pieno inveramento.
Tutto questo comporta che il TCP possieda competenze psicologico-relazionali che permettano di esplorare quanto i protagonisti coinvolti nel processo di PCC siano consapevoli dello stato di salute e delle modalità con cui avviene il processo di condivisione e decisionale, tenendo conto: delle abilità del paziente e dei suoi desideri/aspirazioni; del contesto familiare e culturale.
I Codici deontologici delle professioni principali che compongono il TCP, quelli di medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali, riconoscono interamente i principi della legge 219/17, esplicitando la regola inderogabile secondo cui qualsiasi intervento operato su persone fragili deve prevedere il loro consenso e presupporre il rispetto della loro dignità.
Purtroppo, le tematiche della morte e del morire sono state sistematicamente rimosse dalla vita reale e, come ampiamente discusso dalla letteratura[11], anche dai processi formativi scolastici e universitari. Questo significa che oggi in Italia, similmente alla maggior parte dei paesi occidentali, il personale sanitario è impreparato a gestire relazioni critiche come lo sono quelle che si instaurano con ammalati e familiari che debbano misurarsi con la sfida mortale. Parallelamente la generalizzata censura di tutto ciò che riguardi sofferenza, declino e contatto con la degenerazione del corpo ha reso le persone comuni incapaci di affrontare questo tipo di esperienza e di prevederne o anche solo immaginarne la possibilità. Ciò comporta che né pazienti, né familiari e caregivers informali e parallelamente neppure di professionisti della salute abbiano a disposizione categorie, rappresentazioni e un linguaggio che faciliti la relazione e la comunicazione in tali situazioni[12]. Da ciò deriva il rischio che intervengano distorsioni che inducono all’intrapresa di percorsi terapeutici sproporzionati che non corrispondono ai più concreti bisogni del paziente.
Si pensi in particolare alla realtà delle Cure Palliative Pediatriche (CPP)[13], al cui interno si presentano incidenti critici significativi. In tale contesto per un verso il rischio di moral injury e lutto vicario per i componenti del TCP è sempre in agguato, per l’altro la sofferenza del lutto anticipatorio spesso porta i genitori, che devono affrontare un’esperienza estremamente drammatica, a richiedere/pretendere cure sproporzionate e a relazionarsi in modo disfunzionale tanto con il TCP quanto con il figlio ammalato e i suoi fratelli/sorelle. La possibilità per il minore di morire consapevolmente e operare scelte relative alla cura viene dunque messa fortemente a repentaglio dalla carenza di capacità relazionali del mondo adulto.
La richiesta di Aiuto Medico a Morire (AMM)[14] è un altro ambito che può generare importanti incidenti critici[15]. Il contrasto tra ideologie ha segnato profondamente la storia italiana degli ultimi decenni con la dura opposizione tra centri di potere e movimenti popolari di democrazia partecipativa, i primi volti ad imporre il rispetto di alcuni principi etici i secondi impegnati a svincolarsi dal principio della mera obbedienza[16]. L’AMM è estraneo alla l. n. 219, anche nelle ipotesi della PCC. Per ora in Italia esso è ammesso nella forma del “suicidio assistito” nel rispetto dell’Ordinanza 207/2018 e della successiva sentenza n. 242/2019 della Coste Costituzionale che, intervenendo sul Codice penale, hanno permesso, a determinate condizioni, appunto l’accoglimento dell’AMM. Di fatto la Legge 219/17 è una risposta di “diritto gentile” che offre l’opportunità di prevenire l’istanza di AMM grazie alle CP e alla sedazione profonda, alla possibilità di rifiutare i trattamenti, alle Disposizioni Anticipate di Trattamento e alla PCC. Come illustrato dal Tavolo di lavoro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio[17], infatti, una attenta gestione della dimensione relazionale può aiutare a rendere anche le fasi più dolorose della malattia un’occasione di elaborazione esistenziale e spirituale profonda per tutti coloro che sono implicati nell’esperienza di perdita.
Come dimostrano le evidenze offerte da studi volti ad impostare con il malato un rapporto terapeutico centrato sul rafforzamento della dignità, è possibile ridurre l’incidenza della richiesta di AMM[18]. Nella misura in cui stabiliamo che tale istanza segnala un disagio che deve essere gestito anticipatamente, è necessario che tanto il TCP quanto tutti i professionisti della salute, acquisiscano abilità di tipo tanto teorico quanto pratico in questo ambito. Data infatti la più recente definizione di palliazione, che prevede l’adozione del modello di CP per tutte le condizioni di sofferenza, indipendentemente dalla prognosi, per garantire tali competenze è inevitabile che vegano messi a disposizione di tutti i professionisti della salute percorsi formativi adeguati.
In linea con quanto indicato dalla EAPC relativamente alla formazione in CP[19], in Italia tutto ciò è già stato parzialmente previsto dalla legge 38/2010 e dagli esiti dei lavori del Tavolo bilaterale MUR/Ministero della Salute coordinato da Guido Biasco, finalizzato alla completa attuazione dell’art. 8 della suddetta legge e relativo all’inserimento di crediti formativi nei corsi pre e post lauream di medicina, infermieristica, psicologia e servizio sociale. Nello specifico, dal “documento Biasco” inviato dal MUR a tutti i rettori delle università italiane[20], l’acquisizione di tali competenze richiede la messa in campo dei tre classici ambiti della conoscenza: il “sapere per sapere” (conoscenza teorica); il “sapere per essere” (conoscenza esistenziale); il “sapere per fare” (“conoscenza operativa”). Tali principi possono essere declinati come:
- “Competenza” (competence) in senso generale che può essere considerata come la “virtù” da acquisire relativa a tutti i domini o aspetti delle prestazioni professionali in un determinato contesto (conoscenza teorica: sapere per sapere – area cognitiva);
- “Abilità” (skills) che prevedono un cambiamento nel modo di essere del professionista (sapere per essere: capacità comunicativo/attitudinali: area affettivo/relazionale);
- “Competenze specifiche” (competencies) corrispondenti ad abilità tecniche e cliniche (sapere per fare: essere in grado di utilizzare dispositivi di intervento terapeutico e di sostegno).
Il presente documento vuole mettere in evidenza la necessità di implementare in modo sistematico l’acquisizione di competenze relazionali con percorsi appropriati di death education, da parte di tutto il personale sanitario in generale e specialmente di coloro che entrano a far parte del TCP, con una particolare attenzione a coloro che operano nel campo delle CPP. Relativamente ai diversi livelli di competenza è necessario considerare la centralità della relazione secondo i seguenti livelli:
- Competence: Il TCP è chiamato a possedere un sapere approfondito relativamente ai principali fattori che interessano la relazione individuo/società. Gli organizzatori delle relazioni (normazione, ruolo, status) intervengono a vario livello nel rapporto con la persona fragile e in particolare nella fase del fine-vita. Tali fattori si interfacciano con le modalità con cui viene esercitato il potere sull’individuo e dipendono da quanto e come la legge regolamenta questo esercizio. La legge a sua volta è informata da aspetti di carattere etico. La discussione bioetica deve essere quindi considerata in relazione a tematiche che ineriscono tanto all’ambito del biodiritto quanto a quello della biopolitica. La legge 219/17, da questo punto di vista, si inserisce nell’alveo di “Un Diritto Gentile”[21], il quale, partendo da una concezione del diritto che informa la pratica sociale coinvolgendo molteplici soggetti, a vari livelli, interviene nelle questioni relative alla sfera privata delle persone con l’intento di rispettarne la sfera più intima e tutelarne la privatezza. Il diritto così inteso, che fa perno sui diritti umani inalienabili, permette di orientare i processi sociali e l’esercizio del potere controllando l’uso della forza sulle persone più vulnerabili. Poiché ogni paziente rimane un soggetto che appartiene al proprio contesto sociale e culturale di riferimento, le norme etiche, deontologiche e giuridiche sono ormai orientate a rispettare tali orizzonti. In quanto le relazioni sono sempre orientate da cognizioni, rappresentazioni, valori e norme, in questo contesto formativo, risulta dunque ineludibile la presentazione di contenuti di psicologia sociale, clinica e dinamica integrati da riflessioni di tipo umanistico, che includano la bioetica, il biodiritto e la biopolitica.
- Skills: L’obiettivo fondamentale dell’acquisizione di skills relazionali consiste nel saper essere in grado di costruire una relazione di cura e di fiducia. La Legge 219/17 oltrepassa il principio già convalidato dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, nel suo articolo 5 dedicato al Consenso informato[22], in quanto richiede al personale sanitario di essere in grado di guadagnare e mantenere la fiducia del paziente e dei suoi familiari, i quali devono sentirsi riconosciuti nel loro diritto di scegliere nonostante la loro condizione di fragilità. Questo tipo di relazione richiede la capacità psicologica di porsi in ascolto attivo, di esercitare su sé stessi un’epochè, di saper elaborare tanto il proprio stress collegato a forme di dissenso morale quanto la propria e altrui ansia di morte. Dato tale bagaglio di base, l’ulteriore dimensione sarà l’acquisizione della capacità di saper coinvolgere (engagement) pazienti e familiari nel dialogo funzionale alla predisposizione e poi attuazione della PCC e ai passaggi del processo decisionale, pur mantenendo la giusta distanza. Questo tipo di “sapere per essere” non può essere offerto come un contenuto teorico, bensì richiede spazi esperienziali concreti e pratici, condotti da psicologi-psicoterapeuti o altri professionisti specializzati. La psicologia mette da tempo a disposizione dei professionisti della salute percorsi formativi adeguati che utilizzano tecniche attive e psicodrammatiche, di cui è già stata evidenziata l’efficacia in ambito formativo sanitario[23].
- Abilities: Una volta acquisita una capacità relazionale personale, che li rende in grado di fronteggiare la sofferenza e l’angoscia dell’altro elaborando anche i propri vissuti di stress e di perdita, i professionisti della salute sapranno gestire strumenti idonei a supportare il malato e i suoi familiari. Utilizzando l’approccio intersistemico volto a implementare la resilienza attraverso il ricorso a reti di sostegno e le relazioni che promuovono la comunicazione autentica, essi potranno fruire di dispositivi specifici, predisposti per il monitoraggio dei processi e per la definizione dei passaggi che il PCC richiede.
[1] Il congresso si è tenuto all’Università degli Studi di Padova, dal 7 al 9 settembre 2023, nell’ambito delle iniziative del Master in Death Studies & The End of Life e dell’Association for the Studies on Death and Society, che con decorrenza biennale celebra il proprio congresso “Death Dying and Disposal” (DDD). L’iniziativa era inserita nelle attività promosse dall’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) nel suo semestre di presidenza dell’European Federation of Psychologists’ Associations (EFPA): https://endlife.psy.unipd.it/Conferenza_LSFDD/wp-content/uploads/2023/05/Provisional-Programme_Second-Draft.pdf
[2]https://www.sicp.it/wp-content/uploads/2018/12/5_EJPC2023_EAPC-WhitePaperOnEducation_0.pdf; https://www.sicp.it/wp-content/uploads/2018/12/6_EJPC203Gamondi_part2_0.PDF
[3] Il costrutto di Cicely Saunders. Per rassegne si vedano: Clark, D. (1999). Total pain’, disciplinary power and the body in the work of Cicely Saunders, 1958–1967. Social science & medicine, 49(6), 727-736. Clark, D. (2000). Total pain: the work of Cicely Saunders and the hospice movement. American Pain Society Bulletin, 10(4), 13-15. Wood, J. (2022). Cicely Saunders,‘Total Pain’and emotional evidence at the end of life. Medical humanities, 48(4), 411-420.
[4] https://www.sicp.it/informazione/news/2018/12/la-nuova-definizione-di-cure-palliative-della-iahpc/
[5] https://www.parlamento.it/parlam/leggi/10038l.htm
[6] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg
[7] Per il concetto di “ultimo compito evolutivo” se ne veda analisi e discussione in Testoni, I. (2020). Psicologia palliativa, Torino: Bollati Boringhieri.
[8] Bianco, A. M. E. D. E. O. (2010). Per un nuovo professionalismo medico fondato sull’alleanza terapeutica. Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri (a cura di), Cento anni di professione al servizio del Paese, Roma, 5-11. Devlin, M., & Maida, V. (2017). The demon in deeming: Medical paternalism and linguistic issues in the palliative care setting. Canadian Family Physician, 63(3), 191-194.
[9] https://www.sicp.it/documenti/altri/2012/03/world-health-organization-who-report-on-palliative-care/
[10] Sul concetto di “engagement” in medicina si veda: Barello, S., Graffigna, G., & Vegni, E. (2012). Patient engagement as an emerging challenge for healthcare services: mapping the literature. Nursing research and practice, 2012. James, Julia. “Patient engagement.” Health Affairs Health Policy Brief 14.10.1377 (2013). Clancy, C. M. (2011). Patient engagement in health care. Health services research, 46(2), 389.
[11] Cfr. Sallnow, L., Smith, R., Ahmedzai, S. H., Bhadelia, A., Chamberlain, C., Cong, Y., … & Wyatt, K. (2022). Report of the Lancet Commission on the Value of Death: bringing death back into life. The Lancet, 399(10327), 837-884. Perry, L. M., Mossman, B., Lewson, A. B., Gerhart, J. I., Freestone, L., & Hoerger, M. (2022). Application of Terror Management Theory to End-Of-Life Care Decision-Making: A Narrative Literature Review. OMEGA-Journal of Death and Dying, 00302228221107723. Testoni, I. (2020). Psicologia palliativa, Torino: Bollati Boringhieri.
[12] Per una rassegna si veda: Testoni, I. (2016). Psicologia del lutto e del morire: dal lavoro clinico alla death education. Psicologia del lutto e del morire: dal lavoro clinico alla death education, 229-252.
[13] Con questo acronimo si intendono anche le cure palliative neonatali.
[14] Il Gruppo dei Firmatari del documento propone di modificare la terminologia in uso “Morte Volontaria Medicalmente Assistita” con “Aiuto Medico a Morire” in consonanza con quanto proposto sia dal Gruppo di Trento (https://www.biodiritto.org/Online-First-BLJ/Aiuto-medico-a-morire-e-diritto-per-la-costruzione-di-un-dibattito-pubblico-plurale-e-consapevole) che dalla proposta normativa del Diritto gentile (https://undirittogentile.wordpress.com/).
[15] Testoni, I., Carafa, M. L., Bottaccin, M., Zamperini, A., & Galgani, M. (2018). L’assistenza infermieristica in hospice: incidenti critici nella gestione della relazione con pazienti e familiari. Professioni infermieristiche, 71(3).
[16] Gristina, G. R. (2022). La morte volontaria medicalmente assistita in Italia: un disegno di legge o solo un compromesso politico? Recenti Progressi in Medicina, 113(11), 638-648.
[17] https://ordinepsicologilazio.it/post/sofferenza-morte
[18] Chochinov, H. M., & Montross, L. (2021). Dignity therapy. In New Techniques of Grief Therapy (pp. 287-290). Routledge.
[19]https://eapcnet.eu/eapc-groups/reference/education-training-in-palliative-care/; 16/EJPC20_2_EAPC_White_PaperEducationcorecompetences2013.PDF
[20] https://www.miur.gov.it/web/guest/lauree-e-lauree-magistrali
[21] https://undirittogentile.wordpress.com/
[22] https://www.dirittoconsenso.it/2021/01/22/convenzione-di-oviedo-e-consenso-informato/
[23] Karp, M., Holmes, P., & Tauvon, K. B. (Eds.). (1998). The handbook of psychodrama. psychology press. Gershoni, J. (Ed.). (2003). Psychodrama in the 21st century: Clinical and educational applications. Springer Publishing Company. Kim, L. M. V., & Marino, M. J. (2022). Training in psychodrama: democratic project under construction. In Psychodrama in Brazil: Contemporary Applications in Mental Health, Education, and Communities (pp. 55-70). Singapore: Springer Nature Singapore. Testoni, I., Ronconi, L., Orkibi, H., Biancalani, G., Raccichini, M., Franchini, L., … & Varani, S. (2023). Death education for Palliative care: a european project for university students. BMC Palliative Care, 22(1), 1-13. Ronconi, L., Biancalani, G., Medesi, G. A., Orkibi, H., & Testoni, I. (2023). Death Education for Palliative Psychology: The Impact of a Death Education Course for Italian University Students. Behavioral Sciences, 13(2), 182. Orkibi, H., Biancalani, G., Bucuţã, M. D., Sassu, R., Wieser, M. A., Franchini, L., … & Testoni, I. (2021). Students’ confidence and interest in palliative and bereavement care: A European study. Frontiers in Psychology, 12, 616526.