L’inedito cammino della «Gloria»
PUBBLICAZIONI. Adelphi porta in libreria «La morte e la terra» opera cruciale del filosofo Emanuele Severino
Se le più gravi crisi storiche sono legate al fallimento delle illusioni, un serio studio di questo pensiero aiuta a rifondare una società «nuova»
È appena uscita «La morte e la terra» (Adelphi), opera cruciale di Emanuele Severino, in quanto parte conclusiva del suo percorso teoretico dedicato «all’indicazione autentica dell’eternità». Inteso come «destino», tale concetto non ha niente a che vedere con quello considerato dalla tradizione metafisica o, all’opposto, dalla fisica di Einstein, bensì più radicalmente riguarda l’«impossibilità del divenir altro/nulla» e la coscienza che tutto ciò che appare è necessario. Ogni ente, quindi, in quanto eterno, né può essere creato né può essere annientato. In questa originaria fondazione si inscrive il problema della morte, che viene da sempre e comunemente intesa come annientamento parziale o totale della persona.
Mostrando come tale interpretazione sia uno degli esiti della corruzione fondamentale del «nichilismo», Severino inscrive dunque l’accadimento della morte nel luogo dell’avvicendarsi degli eterni: la «terra», il cui inizio ha però conciso con la caduta nell’oblio dell’eternità in cui consiste l’«isolamento». La «terra isolata» è l’essenza del nichilismo in cui abitano i mortali, incapaci di ricordare la propria identità. Questa scotomizzazione è destinata a tramontare con l’avvento della «terra che salva», la quale «al di là di ogni resurrezione» si manifesta come «apocalisse», in cui ogni istante, già accaduto e mai annientato ma solo oscurato, si illumina della propria coscienza.
Ben distante dall’ipotetismo scientifico o da qualsiasi promessa salvifica, il discorso di Severino si annuncia perciò come la più autentica «previsione» di ciò che attende il mortale: il toglimento del peccato originale patito dalla terra isolata e definito dal filosofo «enticidio».
La questione mortale viene dunque affrontata radicalmente e rivolta alla questione ultima, la più temibile: la previsione del «mio morire». Che cosa accade dopo quell’evento che appare come disfacimento del mio esser corpo? Nuovi incubi – si chiedeva l’Amleto? Superando ogni fede e mito, la risposta è la più grande possibile e la più dettagliata che la storia con rigoroso linguaggio logico, emendante ogni contraddizione, abbia mai disposto. Nell’argomentare in che senso non si può conquistare la vita eterna perché già da sempre l’eternità è ciò in cui necessariamente consiste ogni essente, Severino riporta alla propria essenziale contraddittorietà le evocazioni di salvezza, resurrezione, immortalità, reincarnazione cui le diverse religioni si sono appellate per rimediare alla propria incapacità di redimere il mortale dal peccato originale. Ebbene, no, alcun incubo attende il mortale alla fine del proprio «abitare il tempo», perché la morte ha una sua splendida «destinazione»: il «compimento del contrasto» tra oscurità e luce nel disvelamento dell’essere eterno in cui consiste la «Gioia suprema», al cui interno inizia un nuovo e assolutamente inedito cammino della «Gloria».
L’importanza di questo testo è incalcolabile. Se è dato ormai per accertato, come gli studi scientifici più avanzati a livello internazionale dimostrano, che il tema della morte è cruciale per l’umanità, perché tutte le società costruiscono il senso delle relazioni sulle rappresentazioni della morte, e se dunque le più gravi crisi storiche sono legate al fallimento delle illusioni e all’orrore del disincanto, peraltro anch’esso illusorio, allora non si può che auspicare un serio lavoro di studio de «La morte e la terra» e di tutto il discorso che lo precede, per poter finalmente rifondare una società «nuova».
Ma è importante dire subito che niente di questo insegnamento può esser riassunto, nessuna metafora retorica può esser utilizzata per alleviare il percorso: il rischio che si corre è infatti quello di ridurne i contenuti a una nuova religione. Chi prenda sul serio la propria morte e per dare senso alla vita voglia superare l’angustia del doversi adattare a tante semplificazioni o limitate esortazioni, che decretano solo la fortuna di chi le proferisce, non può dunque che cominciare a sapere che la risposta di Emanuele Severino è risolutoria ma anche lunga e complessa.